Fronte Surreale, lì 2.4.07

Viaggio dentro la notte. Best XI

A Parigi

Mi risvegliai in un letto, pulito e profumato ancora di bucato fresco. Come era successo? Dove mi trovavo? Ero già a destinazione? E se sì, quale era? Come ogni buon essere umano i miei risvegli erano sempre problematici e questo pareva non sottrarsi alla regola. Stropicciai gli occhi e misi i piedi per terra. Il freddo del pavimento mi scaraventò in avanti nel processo di uscita dal dormiveglia. Mossi i passi stancamente verso un rumore di padelle, ero ancora vestito come alla partenza; mancavano solo le scarpe, non me ne curai ed entrai nella cucina. Una piccola stanza disadorna con solo l’essenziale a produrre qualche vivanda calda e poco più. In piedi al centro della stanza se ne stava il gigante, mi accorsi in quel momento che dovevo ancora chiedergli il nome, che armeggiava con una caffettiera, minuscola nelle sue mani.
- Potresti aprirla? – disse con una punta di imbarazzo – Sai… queste mani…
Avanzai verso la sua mano, presi la caffettiera, svitai la parte inferiore e gli porsi i due pezzi distinti. Presi una sedia e mi sedetti in parte ad un tavolino tagliato a metà per entrare in quello stretto ambiente.
- Scusa – sbiascicai nel peggior dialetto mattutino – ma non so ancora come ti chiami
- Karl, piacere – e mi tese la manona
- Piacere mio, Karl – cercai di schiarirmi la voce, un rumore di grattugia si sparse tra i muri – e dove siamo?
- Parigi, siamo arrivati

Dunque questa era Parigi.

Il caffè era pronto, Karl lo versò in due tazzine, mi chiesi come avrebbe fatto a bere, era evidentemente troppo minuscola per le sue enormi dita. Eppure ce la fece, un sorso e via. Da par mio rimasi a girare il cucchiaino per un tempo più lungo del necessario. Poi mi decisi e lo bevvi in due sorsi. Non era male, ma in Italia il caffè viene comunque meglio, sarà forse l’acqua.
Come mai siamo qua?
Detestavo fare conversazione di primo mattino, ma detestavo ancora di più essere all’oscuro di tutto, una sensazione di fastidio che mi portavo dietro fin dalle elementari.
Qui potrai capire. Te ne accorgerai ben presto.
Mi alzai e cominciai ad esplorare la piccola casa, un appartamento con tre locali, sobrio, spoglio, minimalista. Andai a sedermi nel salotto sul grosso divano rosso a tre posti. Un solo quadro, o meglio una stampa, sulla parete orientale occupava la stanza insieme al divano e ad un tavolo. Cercai di capire in che razza di guaio mi fossi cacciato ma non venni a capo di nulla, sapevo solo di essere a Parigi in un trilocale in compagnia di un gigante di nome Karl: per alcuni sarebbe stato sufficiente.

Fissai per un buon quarto d’ora la parete cercando di seguire i disegni delle crepe, li trovai ben più interessanti della città che aspettava al di fuori della finestra. Poi sentii la porta di ingresso aprirsi. Karl era ancora in cucina a cercare di preparare qualcosa con le minuscole pentole ma senza troppo successo. Chi era il nuovo venuto? Mi alzai e raggiunsi il corridoio. Un uomo calvo e dalle braccia cadenti era appena entrato. I nostri sguardi si incrociarono:
- Benvenuto

Non risposi.

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